sabato 30 aprile 2011

Gli opposti impulsi della natura e della grazia - Imitazione di Cristo

CAPITOLO LIV

Parole del Signore
Figlio, poni molta atenzione agli impulsi della natura e della Grazia, perché i loro moti sono molto contrari, ma così sottili, che solo un uomo spirituale ed intimamente illuminato riesce a fatica a distinguerli.
Tutti gli uomini desiderano, certo, il bene e, tanto nelle parole quanto nelle azioni, hanno di mira qualcosa di buono; ma proprio da questa apparenza di bene restano ingannati.
La natura è scaltra ed alletta molti, irretisce ed inganna; inoltre, per fine ha sempre se stessa. La grazia, al contrario, cammina con semplicità, evita il male sotto qualsiasi aspetto esso appaia. Non tende insidie; opera tutto rettamente, per amore di Dio, nel quale, come suo ultimo fine, trova pace.
La natura mal sopporta d'essere mortificata, non vuole subire pressioni né essere soffocata né sottostare né piegarsi da sé al giogo. La grazia, invecen, attende alla propria mortificazione, resiste alla sensualità, cerca d'essere ssoggettata, desidera d'essere vinta, non vuole far uso della sua libertà, ama d'essere tenuta sotto disciplina; non ha cupidigia di prevalere su alcuno, ma aspira a vivere ed a mantenersi sempre sottoposta a Dio e, per amore di Dio, è pronta a piegarsi umilmente ad ogni umana creatura.
La natura s'affatica per il suo vantaggioe bada a quanto guadagno le possa venire da altri. La grazia, invece, considera non il profitto ed il vantaggio propri, ma piuttosto quello che possa giovare agli altri.
La natura si compiace degli onori e degli ossequi. La grazia invece attribuisce leamente a Dio ogni onore e gloria.
La natura teme la vergogna e il disprezzo. La grazia, invece, gode di "patire ingiurie per il nome di Gesù".
La natura ama l'ozio e gli agi del corpo. La grazia, invece, non può starsene inoperosa ed accetta con piacere la fatica.
La natura cerca di possedere cose rare e belle, mentre detesta quelle comuni e grossolane. La grazia, invece, si compiace delle cose semplici ed umili, non disdegna quelle rozze, né rigiuta di vestirsi di vecchi panni.
La natura tiene l'occhio rivolto ai beni temporali, gioisce dei guadagni, si rattrista delle perdite e si irrita per una parola liebemente offensiva. La grazia, invece, mira ai beni eterni e non s'attacca alle cose temporali, né s'agita per la perdita di cose materiali, né s'inasprisce per parole un po' brusche, perché il suo tesoro e la sua gioia li pone nel cielo dove nulla perisce. 
La natura è avida, preferisce prendere che donare, ha caro ciò che è proprio e personale. La grazia, invece, è caritatevole e aperta agli altri; rifugge dalle cose personali, si contenta del poco, ritiene "più bello dare che ricevere" (At 20,35).
La natura tende alle creature e al proprio corpo, alla vanità e alle chiacchiere. La grazia, invece, si volge a Dio e alle virtù; rinuncia alle creature, fugge il mondo, ha in orrore i desideri della carne, frena il desiderio di andare di qua e di là, si vergogna di comparire in pubblico. 
La natura gode volentieri di qualche svago esteriore, nel quale trovino piacere i sensi. La grazia, invece, cerca consolazione soltanto in Dio, e, al di sopra di ogni cosa di questo mondo, mira a godere del sommo bene.
La natura tutto fa per il proprio guadagno e il proprio vantaggio; non può fare nulla senza ricevere nulla; per ogni favore spera di conseguirne uno uguale o più grande, oppure di riceverne lodi e approvazioni; desidera ardentemente che i suoi gesti e i suoi doni siano molto apprezzati. La grazia, invece, non cerca nulla che sia passeggero e non chiede, come ricompensa, altro premio che Dio soltanto; delle cose necessarie in questa vita non vuole avere più di quanto le possa essere utile a conseguire le cose eterne.  
La natura si compiace di annoverare molte amicizie e parentele; si vanta della provenienza da un luogo celebre o della discendenza da nobile stirpe; sorride ai potenti, corteggia i ricchi ed applaude coloro che sono come lei. La grazia, invece, ama anche i nemici; non si esalta per la quantità degli amici; non dà importanza al luogo di origine o alla famiglia da cui discende, a meno che in essa vi sia una virtù superiore; è ben disposta verso il povero, più che verso il ricco; simpatizza maggiormente con la povera gente che con i potenti; sta volentieri con le persone sincere, non già con gli ipocriti; esorta sempre le anime buone ad ambire a "doni spirituali sempre più grandi" (1Cor 12,31), così da assomigliare, per le loro virtù, al Figlio di Dio. 
La natura, di qualcosa che manchi o che dia noia, subito si lamenta. La grazia sopporta con fermezza ogni privazione. 
La natura riferisce tutto a sé; lotta per sé, discute per sé. La grazia, invece, riconduce tutte le cose a Dio, da cui provengono come dalla loro origine; nulla di buono attribuisce a se stessa, non presume di sé con superbia; non contende, non pone l'opinione propria avanti alle altre; anzi si sottomette, in ogni suo sentimento e in ogni suo pensiero, all'eterna sapienza e al giudizio di Dio. 
La natura è avida di conoscere cose segrete e vuol sapere ogni novità; ama uscir fuori, per fare molte esperienze; desidera distinguersi e darsi da fare in modo che ad essa possa venirne lode e ammirazione. La grazia, invece, non si preoccupa di apprendere novità e curiosità, perché tutto il nuovo nasce da una trasformazione del vecchio, non essendoci mai, su questa terra, nulla che sia nuovo e duraturo.
La grazia insegna, dunque, a tenere a freno i sensi, a evitare la vana compiacenza e l'ostentazione, a tener umilmente nascosto ciò che sarebbe degno di lode e di ammirazione, infine a tendere, in tutte le nostre azioni e i nostri studi, al vero profitto, alla lode e alla gloria di Dio. Non vuol far parlare di sé e delle cose sue, desiderando, invece, che, in tutti i suoi doni, sia lodato Iddio, che tutto elargisce per puro amore. E', codesta grazia, una luce sovrannaturale, propriamente un dono particolare di Dio, un segno distintivo degli eletti, una garanzia della salvezza eterna. La grazia innalza l'uomo dalle cose terrestri all'amore del cielo e lo trasforma da carnale in spirituale. Adunque, quanto più si tiene in freno e si vince la natura, tanto maggior grazia viene infusa in noi; così, per mezzo di continue e nuove manifestazioni divine, l'uomo interiore si trasforma secondo l'immagine di Dio.

venerdì 29 aprile 2011

Santa Caterina da Siena - 29 Aprile


Tratto dalla Legenda Maior scritta dal beato Raimondo da Capua. In questo molto edificante stralcio della vita di santa Caterina troviamo:
- Carità verso gli infermi, fortezza contro il nemico, pazienza e umiltà
- La trasfigurazione
- La bevanda nauseante
- Le sante Stigmate e la bevanda divina
- Considerazioni e riflessioni


(CARITA' VERSO GLI INFERMI, FORTEZZA CONTRO IL NEMICO, PAZIENZA E UMILTA')
154. - Il nemico dell'uman genere intanto, vedendo che la santa vergine acquistava un cumolo di meriti con l'assistenza agli infermi, ed otteneva sul prossimo un abbondante frutto spirituale, escogitò un nuovo mezzo per stancarla. Ma la iniquità mentì a se stessa, perché tentanto di soffocare il frutto dell'albero piantato lungo il corso delle acque celesti, con l'assistenza del Signore, non fece che propaginarlo.
  Avvenne in quel tempo, che un'altra consorella del beato Domenico, chiamata Andrea (era costume in Siena di imporre nome di maschi anche alle femmine), cadesse ammalata di una ulcera cancrenosa al petto, la quale rodendo la carne intorno intorno e camminando a modo di granchio, le aveva mangiato quasi tutto il petto. Da quella orribile piaga esalava un feotre tanto puzzolente, che bisognava avvcinarsi a naso tappato; e perciò quasi nessuno voleva assistere o far visita alla malata.
Quando la vergine del Signore venne a saperlo, comprese che quell'infelice le era stata riserbata dal cielo, e andò subito a trovarla, la confortò col suo buon viso, e le offerse con gioia, finché durasse il male, i suoi servizi. Andrea accettò tanto volentieri, quanto più si sentiva abbandonata da tutti.
   155. - La vergine passò dunque a servire la vedova; la giovinetta alla vecchia; colei che languiva di amore per il Salvatore alla donna che languiva nel male; e non mancò la servente di fare di tutto, quantunque il fetore divenisse sempre più insopportabile. Le sta lì continuamente vicina, a naso aperto, senza dar segni di nausea; scopre la piaga, l'asciuga, la lava e la fascia con pannolini; non dà segno di ribrezzo; lascia passare il tempo senza noia, ne sente la gravezza dell'opera; tutto fa con graazia e lieta tanto, sì che la stessa, inferma, è tutt'occhi sgranati a guardare la costanza d'animo, la ricchezza di affetti e la carità della giovinetta.
   Ma il nemico dell'uomo e della virtù ricorse allora all'arte solita dell'inganno per annientare quell'atto di carità, che gli era odioso, e cominciò ad assalire Caterina.
  Un giorno, mentre aveva messo allo scoperto l'ulcera dell'ammalata, e ne usciva fuori un fetore più asfissiante del solito, non potendo il demonio rimuoverne la volontà che era fondata sulla pietra di Cristo, assalì il suo stomaco, il quale, per l'orribile puzzo, cominciò ad agitarsi e a muoversi al vomito. Allora la serva di Cristo se la prese con se stessa, e disse al proprio corpo: "Ah! Tu hai in orrore la sorella che è stata redenta col sangue del Salvatore, tu che potresti cadere nella stessa malattia od in una peggiore? Viva Iddio, non resterai impunita!". E subito, inclinata la faccia sul petto dell'inferma, accostò la bocca e il naso sull'orribile piaga e rimase in quella posizione finché non le parve che lo spirito avesse vinto l'indescrivibile nausea, e domata la carne, che si opponeva allo spirito. La malata grida "su su, figliola: smetti, o carissima figliola! Non infettarti su codesta orribile marcia!". Ma la vergine del Signore non si ritirò su, finché non ebbe vinto il nemico, il quale per un po' di tempo si nascose.
 156. - Il demonio avendo compreso che con la vergine non c'era nulla da fare, volse le sue macchinazioni infernali contro di Andrea, che trovò di mente poco ferma e indifesa.
  Egli, infatti, il seminatore di zizzania, cominciò a seminare nell'anima dell'inferma un certo fastidio di vedersi servire da Caterina. A quel fastidio piano piano crebbe tanto la cattiveria dell'animo, che l'uggia, poi, si tramutò in odio. Infatti, nonostante quella vedesse che solo la vergine poteva servirla ed assisterla, pure si manifestava il suo odio sotto forma di una gelosia fuor di misura.
   E' abitudine di chi odia, di propendere a creder male della persona odiata: per questo la vecchia inferma, ora più malata di mente che di corpo, fu portata dall'antico avversario a tal segno, da sospettare qualche magagna nella purissima vergine. Quando non era lì da lei, se la immaginava perpetrare chi sa quali nefandezze. Cadono così le anime incaute! Prima si annoiano delle buone opere del prossimo, delle quali in un primo tempo si sono rallegrate; poi lo odiano, e quindi ne giudicano male le opere, proprio come il vaticinio di Isaia, che disse: "Ciechi nella mente, chiamano male il bene e bene il male!" (Isaia, 5, 20).
Però la santa vergine rimase ferma come una colonna in mezzo a queste miserie, e tenendo sempre presente solo il suo Sposo, con ugual gioia continuava a servirla, e rispondeva, con forte pazienza all'antico avversario, dal quale vedeva originato tante difficoltà. Ma quel detestabile, quanto più Caterina accudiva lietamente d'ira la mente già cieca della vecchia malata, che giunse ad infamare di turpitudine l'innocentissima vergine.
  157. - La voce serpeggiò fra le suore, e alcune delle più anziane andarono dall'inferma per sincerarsi di quanto avevano udito; e questa, presa dal diavolo, confermò vergognosissimamente e bugiardamente le colpe della santa vergine. Infuriate, mandarono a chiamarla, e l'assalirono con insulti, rimproveri e con una quantità di grosse e male parole, chiedendole conto di come si fosse permessa di lasciarsi ingannare fino a perdere la verginità. Caterina rispose con pazienza e modestia: "Vi assicuro, o donne e consorelle mie, che per la grazia di Gesù Cristo, io sono vergine". Nè diceva altro contro quelle che continuavano ad umiliarla, e per rassicurarle tutte, non faceva che ripetere queste parole: "Vi assicuro che sono vergine. Credetemi che sono vergine".
 158. - Ciò nonostante continuò a prestare l'opera sua, e quantunque, non senza un grande dolore, avesse dovuto patire una simile infamia, tuttavia continuò a servire diligentemente la sua calunniatrice.
  Intanto, appena fu libera, corse nella sua cella e si mise a pregare dicendo più col cuore che con le labbra: "Onnipotente Signore e mio Sposo amatissimo, tu sai quanto sia delicata la fama di una vergine, e come il candore delle tue spose con troppo pericolo riceve qualunque macchia. Lo volesti anche tu che la tua gloriosissima Madre avesse uno Sposo putativo. Tu sai anche che tutte queste cose le ha inventate il padre della bugia per allontanarmi dal servizio che, per tuo amore, cominciai. Aiutami, adunque, o Signore, Dio mio, che conosci la mia innocenza, e non permettere all'antico serpente, annientato dalla tua passione, di aver forza contro di me". E pregava e piangeva. Alllora le apparve il Salvatore del mondo tenendo nella mano destra una corona di oro ornata di marcherite e di pietre preziose, e nella sinistra un diadema di spine, e le disse: "Figliola cara, sappi che è necessario che tu, diverse volte in diversi tempi, sia coronata con ambedue queste corone. Scegli, dunque, quella che più ti piace: o d'essere cioè coronata durante il corso di questa tua vita con la corona di spinte, ed io ti serberò l'altra nella vita senza fine; oppure di ricevere ora questa preziosa, e, dopo la morte, ti sarà conservata questa di spine". Lei rispose: "Io, o Signore, da molto tempo ho rinunziato alla mia volontà ed ho preferito di seguire solamente la tua; quindi la scelta non sta a me. Ma poiché tu vuoi che io risponda, ti dico subito che in questa vita scelgo di conformarmi sempre alla tua santissima passione, e di abbracciare per amor tuo le pene come mio refrigerio".
  Ciò detto, con tutte e due le mani tolse con ardore dalla mano del Salvatore il diadema di spine e se lo carlcò tanto sul capo, che le spine glielo perforarono da tutte le parti, e talmente, che, anche dopo la visione, me lo ha detto lei stessa, per le punture di quelle spine sentiva dolore al capo. Allora il Signore le disse: "Tutte le cose sono in mio potere: e poiché l'ho permesso io che succedesse questo scandalo, così io posso anche con facilità toglierlo di mezzo. Tu intanto persevera nel servizio cominciato, né cedere al diavolo, che non vuole che tu lo faccia; io poi ti darò piena vittoria sul maligno, così che quanto ha macchinato contro di te, ricadrà tutto sopra di lui, e sarà a tua maggior gloria". La serva del Signore rimase consolata e rassicurata.
   159. - In questo frattempo mamma Lapa era venuta a sapere delle chiacchiere che si facevano dalle suore sul conto della figliola per quello che aveva detto l'inferma Andrea. Perciò sebbene fosse certissima della purità della figliola, grandemente sdegnata contro Andrea, andò a trovare la vergine e,con l'animo gonfio, cominciò a dirle ad alta voce: "O non te lo dicevo sempre io di non servire quella vecchia puzzolente?  Eccotelo il premio che lei ti rende! Ti ha portato per bocca con disonore presso tutte le sorelle! Se continuerai a servirla e andrai a trovarla, non ti riconoscerò più per figliola". Anche questo avveniva a istigazione del nemico per impedirle quel santo servizio. Ma lei, udita la madre, disse umilmente: "O dolcissima mamma, per l'ingratitudine degli uomini lascia forse, Iddio di usare ogni giorno la sua misericordia verso i peccatori? E il Salvatore, mentre stava in croce, smise forse di operare la salute del mondo per gli improperii che gli si dicevano? Sappia la vostra carità che se io abbandono l'inferma, più nessuno le starebbe intorno e morirebbe di stento. Dobbiamo noi essere cagione della sua morte? E' stata messa in mezzo dal diavolo; ora forse sarà illuminata dal Signore e riconoscerà il suo sbaglio". Con queste ed altre parole ottenne la benedizione della mamma, e ritornò dall'inferma, e la servì contenta, come se questa nulla di male avesse detto di lei.
    Andrea rimase meravigliata, e non vedendoin Caterina nessun segno di turbamento, non poté negare d'essere stata superata da lei sotto tutti gli aspetti. Di qui cominciò a provare un occulto pentimento, che alla vista della perseveranza della vergine ogni giorno le si faceva sempre più vivo.
(LA TRASFIGURAZIONE)
   160. - Intanto il Signore ebbe misericordia della vecchia, e volendo onorare la sua sposa, mostrò a quella una visione. Un giorno parve all'inferma che mentre l'ancella di Cristo le entrava in camera e si avvicinava al suo letto, si diffondesse dall'alto intorno allo stesso letto una luce così piacevole e consolante, da farle dimenticare il suo miserabile stato. Non potendo comprendere la causa di una simile novità, guardava qua e là, quando vide il volto della vergine trasfigurarsi e trasformarsi in modo, che non pareva più la Caterina figliola di Lapa, ma una maestà angelica. Quella luce, poi, l'avvolgeva come un manto. A veder ciò, Andrea cadde in grande afflizione, riconoscendo intimamente di aver sciolto la lingua maledia contro una vergine tanto meravigliosa. La visione, che fu veduta dagli occhi svegli dell'inferma, durata qualche temop, finalmente, come era venuta, svanì.
   Sparita la luce, la vecchia, rimase insieme consolata e triste, ma di quella tristezza che, secondo l'apostolo, fa i giusti (Corinti, 7, 10). Così dopo poco, affannosamente piangendo, chiese perdono alla vergine, confessando di aver peccato gravemente infamandola contro ogni giustizia. Parve pertanto che quella luce visibile avesse portato con sé una luce invisibile, per la quale l'inferma poté riconoscere gli inganni che satana le aveva teso. La vergine del Signore si gettò allora nelle braccia della sua calunniatrice, usò tutti i mezzi per consolarla, l'assicurò che non l'avrebbe abbandonata, e che non si sentiva offesa per niente. Le disse: "Dolcissima madre, io so che il nemico dell'uman genere ha perpetrato tutti questi scandali, ed ha ingannato la vostra mente con illusione perfetta; quindi non a voi, ma a lui ho io qualcosa da imputare. Quanto a voi, io vi debbo ringraziare, perché, come un'ottima amatrice, vi siete data cura di difendere la mia onestà". Consolata con queste parole, e te rminato con diligenza il solitos ervizio, per non perdere tempo inutilmente, se ne ritornò alla propria cella.
   161. - Andrea, che ora riconosceva sinceramente la propria colpa, a quanti andavano a trovarla confessava fra i singhiozzi e le lacrime di avere sbagliato e quanto! perché messa su con inganno dal diavolo. Si accusa rea e dichiara francamente a voce alta, che la vergine calunniata non solo è pura, ma santa e ripiena di Spirito santo e asserisce di averne le prove. Alcune delle presenti le domandarono in segreto e con serietà come le risultasse quanto asseriva intorno alla vergine; con trasporto e fermezza rispose di non aver mai provato né saputo che fosse la soavità di mente e la consolazione spirituale, se non quando aveva veduto la vergine trasformata, e circonfusa di luce indicibile. E insistendo quelle nel domandarle se avesse veduto tutto coi proprio occhi, rispose di sì, ma diceva di non poter trovar parole adatte per descrivere la bellezza di quella luce e la dolcezza che in quei momenti sentiva nell'anima.
   Così la fama di santità di Caterina cominciò a diffondersi fra gli uomini e ad accrescerti: e dove l'antico avversario credette e si sforzò di ingannarla, fu costretto in certomodo ad esaltarla cooperando lo Spirito santo.
   Dopo questo avvenimento, la santa vergine, che non poté essere abbattuta nelle avversità, non si insuperbì nel tempo felice, e continuò senza posa l'opera di carità, applicando tutto l'animo alla conoscenza del proprio niente. Colui che è la premia, ma il nemico insaziabile, il quale si può vincere non uccidere, torna di nuovo ai primi attacchi er abbattere col male di stomaco la trionfanta guerriera.
(LA BEVANDA NAUSEANTE)
162. - Un giorno l'ancella di Cristo, tolse le fasce dalla piaga spaventosa di Andrea, per lavarla e pulirla, fu ammorbata a un tratto, non tanto per effetto naturale quanto per opera del nemico, da un puzzo così insopportabile, che le sue interiora si commossero, e una gran nausea le sconvolse lo stomaco. Questo dispiacque molto alla vergine del Signore, perché in quei giorni di ripetute vittorie ottenute con la grazia dello Spirito santo, aveva raggiunto perfezioni nuove di virtù, per cui, adirandosi santamente col proprio corpo, gli disse: "Viva l'altissimo Sposo dolce dell'anma mia: quello che tanto aborri, entrerà nelle tue viscere!". Quindi raccolse in una scodella la fetida lavatura della piaga insieme con la marcia e voltasi un poco per non farsi vedere dall'inferma, la bevve tutta. Ciò fatto la tentazione della ripugnanza passò.
Quando incidentalmente mi fu raccontata la cosa, Caterina era presente, e mi ricordo che lei mi disse sottovoce e in segreto: "Da che sono al mondo, non ho gustato mai un cibo e una bevanda più dolce e squisita di quella". Una cosasimile l'ho trovata pure descritta nelle carte di fra Tommaso, suo primo confessore, il quale annota come la vergine gli avesse confessato di aver sentito un soavissimo e gratissimo odore, quando aveva, accostato la bocca alla piaga di cui abbiamo detto sopra.
   Io non so, o lettore, che peso darai a quanto ho detto, ma finito il racconto, io aggiungerò in breve quello che il Signore mi suggerirà.
(SANTE STIGMATE E LA BEVANDA DIVINA)
   163. - Essendo, dunque, state concesse alla sposa tanto graziosamente dal suo Sposo tali vittorie, dopo quest'ultima, la notte seguente, mentre lei se ne stava in preghiera, le apparve il Salvatore e Signore Gesù Cristo, con impresse nel corpo le cinque santissime piaghe, che una volta, sopportò crocifisso per la nostre salute, e le disse: "Diletta mia: tante battaglie hai combattuto per amor mio, e tutto con l'aiuto mio, fino a qui, le hai vinte. Per questo mi sei divenuta grata e accetta. Ieri, mi piacesti in modo speciale, perché non solo disprezzasti le lusinche del corpo, non solo non ti curasti delle supposizioni della gente e superasti le tentazioni del nemico, ma perché, annientando la natura del tuo corpo per l'ardore della mia carità, bevesti con allegrezza questa stomachevole bevanda. Io, dunque, ti dico: poiché con quell'atto hai superato la tua natura, io ti darò una bevanda che supera ogni natura e consuetudine umana". E ponendo la mano destra sul collo virgineo di lei e accostandosela alla piaga del proprio costato, le sussurò: "Bevi, o figliola, la bevanda del mio costato, con la quale l'anima tua si riempirà di una tale dolcezza, che ne risentirà mirabilmente anche il corpo che per me disprezzasti". E lei, a ritrovarsi vicina a quel modo alla sorgente della fonte della vita, mise sopra alla santissima ferita le labbra del corpo, ma molto più quelle dell'anima, e bevve a lungo con avidità e abbondanza una bevanda ineffabile ed inesplicabile. Finalmente, ad un cenno del Signore, si staccò da quella fonte, sazia e insieme assetata. Ma una simile sazietà non le generava noia, né pena la sete.
   O Signore d'ineffabile misericordia, quanto sei dolce a chi ti ama, e quanto soave a chi ti gusta! Ma quanto più a coloreo che abbondantemente bevono di te! Infatti, la bevanda più presto e più facilmente si inghiottisce, e con più facilità si converte nella sostanza di chi la prende. Io penso, o Signore, che né io né gli altri che non lo provarono, ne possiamo dare un giudizio adeguato. Sono cose ignote per noi, come i colore a un cieco e la musica a un sordo. Ma per non essere del tutto ingrati, noi consideriamo e ammiriamo, secondo che possiamo, le grazie che liberamente concedi ai tuoi santi, e ringraziamo la tua Maestà secondo le nostre forze.
  (CONSIDERAZIONI E RIFLESSIONI)
164. - Ti raccomando, o lettore, di porre la tua attenzione su questo fatto di straordinaria virtù della nostra meravigliosa vergine. Sì, guarda la grande carità che la spinse a disimpegnare un servizio tanto ingrato ai sensi del corpo. Riguarda, te ne prego, il favore della stessa carità, col quale lei perseverò nel servizio, nonostante la naturale ripugnanza della carne. Osserva, te ne supplico, la forma e impareggiabile costanza, che non poté essere sopraffatta da una turpissima diffamazione, né scorata dal modo di fare odioso di quella mala lingua. Considera finalmente l'anima fissa in Cristo, che non si insuperbisce della lode, e che, sopra le forze della carne e contro natura obblica il suo stomaco a ingoiare ciò che l'occhio non può nemmeno guardare. Cose simili credo che non siano da tutti, ma neanche da pochi, specie oggi, perché quelli che potrebbero fare tali cose, son divenuti più rari della fenice.
   Ammirate ora l'effetto, che è sorprendente.
Presa la bevanda dal costato del SAlvatore, si diffuse nell'anima della santa vergine una tale abbondanza di grazie, che il corpo stesso ricevendone l'affluenza, non cercò da allora in poi più cibo, né avrebbe potuto prenderlo, come dimostreremo in seguito per filo e per segno.
  Chiuso il presente capitolo, che è riuscito un po' lungo.
Ma la lungaggine non ne diminuisce l'importanza.
   Non ripeto i nomi dei testimoni, perché li ho già citati.
Però, tanto per il presente che per il futuro, protesto che quello che scrivo o me lo ha confessato Caterina, o l'ho trovato fra gli scritti di fra Tommaso, suo primo confessore, o l'ho saputo dai frati del mio Ordine, e da donne degne di fede, le quali furono consorelle di lei, e che ho già nominate. Quando sarà necessario, tornerò di nuovo a citarle.

mercoledì 27 aprile 2011

Le Tre Ave Maria


Una pratica purtroppo oggi poco conosciuta, che ebbe larghissima diffusione nella prima metà del 1900 e fu approvata dalla Chiesa a partire da Leone XIII e arricchita di favori spirituali, quali indulgenze.

Santa Matilde di Hackeborn, monaca benedettina, vissuta nel secolo tredicesimo fino al 1298, fu la confidente di una grande promessa della Madonna.
Verso la fine della sua vita, la Santa, pensando con timore al grande momento in cui l'anima abbandona il corpo per entrare nell'eternità, pregò la Madre di Dio che si degnasse di assisterla in quelsolenne istante. La Madonna, che già tante volte si era manifestata alla sua fedele serva, esaudì la supplica, dicendole: "Sì, farò sicuramente quello che tu mi domandi, figlia mia, però ti chiedo che ogni giorno tu mi reciti Tre Ave Maria. La prima Ave sia per onorare Iddio Padre che, per magnificenza della sua onnipotenza, esaltò con tanto onore l'anima mia, così che io sono, dopo lui, onnipotente in cielo e in terra... La seconda sia per onorare il Figlio di Dio che, nella grandezza della sua imperscrutabile Sapienza, mi adornò e riempì di tali doni di scienza e intelletto che io godo di unavisione della Beatissima Trinità maggiore di quella di tutti i santi e mi ha circonfuso di tanto splendore che io illumino, come sole raggiante, tutto il cielo... la terza sia per onorare lo Spirito Santo che ha infuso in me la pienezza della soavità del suo amore, e mi fece così buona e benigna che, dopo Dio, io sono la più dolce e mite...".
Ed ecco le promesse legate dalla Vergine alle Tre Ave: "Nell'ora della morte io ti sarò presente, confortandoti e allontanando da te ogni forza diabolica. Ti infonderò lume di fede e cognizione, affinché la tua fede non sia tentata per ignoranza o errore. Ti assisterò nell'ora del tuo trapasso, infondendo nell'anima tua la soavità del divino amore, affinché tanto prevalga in te, che ogni pena e amarezza di morte si tramuti, per l'amore, in cosa soavissima".

La pratica
Maria, Madre di Gesù e Madre mia, difendimi dal Maligno in vita e nell'ora della morte,
 per il potere che ti ha concesso l'Eterno Padre
Ave Maria
 per la sapienza che ti ha concesso il Divin Figlio
Ave Maria
 per l'amore che ti ha concesso lo Spirito Santo
Ave Maria

si consiglia di aggiungere la giaculatoria
O Madre mia, liberami in questa notte/in questo giorno dal peccato mortale.
oppure
Per la tua pura e Immacolata Concezione, o Maria, fa' puro il corpo e salva l'anima mia.

Santi devoti alla Pratica
Devoti ferventi e zelanti propagatori delle Tre Ave furono il Santo Curato d'Ars, san Gabriele dell'Addolorata, il beato Eymard, il beato Claret, san Giovanni Bosco, santa Gemma Galgani, sant'Alfonso Maria de'Liguori (questa devozione divenne punto di regola per i suoi figli, i redentoristi), sant' Antonio da Padova, san Leonardo da Porto Maurizio, san Giovanni Battista De Rossi...

Un sovrappiù?! no
Alcuni potrebbero pensare "C'è bisogno di questa devozione così ordinaria, così breve, visto che ce ne sono già altre in onore della Vergine, ugualmente belle e portatrici di bene? e poi l'Angelus, in cui si recitano tre Ave Maria, e il Santo Rosario, la regina delle pratiche in onore della Madonna, non assorbono e rendono inutile quelle Tre Ave?"No. Non si tratta di un inutile sovrappiù, né di una cosa assimilabile o confondibile con le altre. Questa pratica ha una fisionomia propria. Pensiamo alla sua origine. E' stata la Vergine stessa a rivelarla; e il suo intento era di onorare la potenza del Padre, la sapienza del Figlio, l'amore dello Spirito Santo per i singolari corrispettivi doni concessi alla Madre di Dio. Il frutto speciale promesso, per l'anima che vi sarà fedelmente devota, è l'assistenza della Vergina nel momento estremo della vita e perciò, di riflesso, la concessione di quelle grazie che saranno necessarie e opportune per meritare la salvezza eterna. L'Angelus, oltre che di tre Ave, si compone di versetti, responsori e un Oremus. Esso serve ad onorare il mistero dell'Incarnazione. Il Rosario poi, benché si componga di Aver Maria, per la sua stessa natura abbraccia la considerazione dei misteri della vita del Salvatore e di Maria, ed è una preghiera universale, senza avere di per sé lo scopo di ottenere grazie particolari. Per questo e per la sua stessa ampiezza esso non pregiudica le Tre Ave, come queste non pregiudicano quello. Ciascuno ha la sua ragione di essere.

Incredibile efficacia
Come può essere che una devozione così breve, facile, che costa così poco, ottenga grazie così numerose e straordinarie? Quando la stessa obiezione venne fatta a padre Giovanni Battista di blois, egli rispose, non senza una punta d'ironia: "Se anche a voi, come certi intellettuali, questo mezzo sembra sproporzionato al fine che con esso si vuol raggiungere, non vi resta che prendervela con la santa Vergina, la quale lo ha arricchito delle sue promesse, o meglio ancora con dio medesimo, che gli ha accordato un tale potere. Del resto, non è forse nelle abitudini del Signore di operare le più grandi meraviglie con dei mezzi che sembrano i più semplici ed i più sproporzionati?"

Per approfondimenti: Le Tre Ave Maria, shalom ed., € 1.28
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Beata Elisabetta della Trinità - essere casa di Dio

Elisabetta Catez è nata nel 18 Luglio 1880,
vive serenamente la sua infanzia prima a Bourges, poi a Auxonne,
infine a Digione (in Francia).
E’ molto turbolenta , la chiamavano “il piccolo capitano”, e sua
Mamma scrive di lei “E’ un vero diavolo; si trascina; ha bisogno
Ogni giorno di un paio di calzoncini bianchi!... Elisabetta, che
Parla così bene, ti divertirà molto, è una grande birichina”.

Di lei bambina dicono “Vivacissima, tremenda, perfino violenta,
‘trés diable’! La sua collera, nella prima infanzia, talvolta era
così violenta che si minacciava di mandarla al Buon Pastore
[una casa di rieducazione] e si preparava la sua valigetta”
 (la sorella)

Una volontà di ferro che deve raggiungere ad ogni costo ciò che
vuole” osserva l’istitutrice.

Racconta la madre:
A un anno si manifestava già la sua natura ardente e collerica.
[una volta] fu predicata una missione che si sarebbe dovuta concludere con la Benedizione dei bambini. Una religiosa mi venne a domandare se la piccola non avesse un bambolotto per rappresentare Gesù Bambino nel presepio: doveva essere vestito con un abito pieno di stelle dorate e non riconoscibile agli occhi della bambina.
Condussi la mia piccola alla cerimonia: dapprima ella fu distratta dalle persone che arrivavano, ma quando il parroco dall’alto del pulpito annunciò la Benedizione, Elisabetta gettò uno sguardo al presepio e in un trasporto di collera e gli occhi fuori gridò “Jeannette! Ridatemi la mia Jeannette!”. La bimbetta fu costretta a portarla via in mezzo all’ilarità generale. Questa natura ardente e collerica non fa che accentuarsi.”

Mentre si preparava per ricevere la Prima Comunione, la madre gli ripeteva “Se vuoi fare la Comunione devi assolutamente cambiare”.
Inoltre, la sera stessa del giorno della sua prima Comunione, una suora  - priora del Carmelo- le spiega cosa significa il suo nome:  Elisabetta significa casa di Dio.
Nella sua prima Comunione, fece per la prima volta l’esperienza di essere casa di Dio.

Il pensiero di “essere abitata da Dio” (dalla Trinità) e di dover sempre accoglierLo con sommo amore la seguirà fino alla fine della vita.

Per questa consapevolezza, la bambina cambiò progressivamente e radicalmente, tanto che a undici anni il suo carattere si era totalmente modificato, senza che l’impegno da lei posto nel vincersi la rendesse più triste: era naturalmente vivace e gioiosa.

Elevazione alla SS. Trinità
O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi completamente, per fissarmi in Te, immobile e tranquilla, come se la mia anima fosse già nell'eternità. Nulla possa turbare la mia pace, né farmi uscire da Te, o mio Immutabile, ma che ogni istante m'immerga sempre più nella profondità del tuo Mistero. Pacifica la mia anima, rendila il tuo cielo, tua dimora prediletta, luogo del tuo riposo. Che non ti lasci mai solo, ma che sia là tutta, interamente desta nella mia fede, tutta in adorazione, pienamente abbandonata alla tua Azione creatrice.
O mio Cristo amato, crocifisso per amore, vorrei essere una sposa per il tuo Cuore, vorrei coprirti di gloria, vorrei amarti fino a morirne. Ma sento la mia impotenza, e ti chiedo di "rivestirmi di te", d'identificare la mia anima a tutti i movimenti della tua anima, di sommergermi, d'invadermi, di sostituirti a me, affinché la mia vita non sia che un'irradiazione della tua Vita. Vieni in me come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore.
O Verbo Eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad ascoltarti, voglio rendermi perfettamente docile per imparare tutto da Te. Poi, attraverso tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze, voglio sempre fissate Te e restare sotto la tua grande luce. O mio Astro amato, affascinami perché non possa più uscire dalla tua irradiazione.
O Fuoco consumante, Spirito d'amore, "discendi in me", affinché si faccia nella mia anima come una incarnazione del Verbo e io gli sia una umanità aggiunta nella quale Egli rinnovi tutto il suo Mistero. E Tu, o Padre, chinati sulla tua povera piccola creatura, "coprila della tua ombra", non vedere in lei che "il Prediletto nel quale hai posto tutte le tue compiacenze".
O miei Tre, mio Tutto, mia Beatitudine, Solitudine infinita, Immensità in cui mi perdo, mi abbandono a Voi come una preda. Seppellitevi in me perché io mi seppellisca in Voi, in attesa, di venire a contemplare, nella vostra luce l'abisso delle vostre grandezze.

Vesti e oggetti della carmelitana 
                          15 Ottobre 1897
O cara austera veste,
povero e semplice mantello,
se pure di ruvida stoffa,
quanto vi vedo belli!
       
           II
O velo bianco, mi ricordi
la fulgida dolce aurora
del giorno che lo Sposo
prese possesso del mio cuore!


          III
O povero e semplice rosario,
più prezioso di ogni gioiello,
quanto ti preferisco
alle più belle corone!


Con la tua grossa croce,
e i miseri grani di legno,
sarai l'inseparabile ornamento,
della mia cintura.

            IV
Venite a macerare la mia carne,
già vi accarezza il mio cuore,
duri oggetti aborriti
da chi non ama il soffrire.


            V
E tu, anello povero e caro,
mi sembri il suggello
dell'eterne promesse
che feci al Salvatore
con santa e pura ebbrezza
in un giorno di paradiso.


           VI
E infine, mia piccola cella,
minuscola povera stanza,
cara panca di legno
quando potrò dormire su di te?


              VII
O mia preziosa livrea
e voi tutti cari oggetti,
o santa povertà di dio,
o beato monastero,
mi sembrate sulla terra
un piccolo angolo di cielo!

La Santa Comunione - prima, durante e dopo secondo s. Luigi de Montfort

Vi ricordo, cari lettori, che domani, 28 Aprile, sarà il giorno in cui si ricorda san Luigi Maria Grignion de Montfort; chiediamo la sua intercessione!


Tratto da "Trattato della vera devozione a Maria" di san Luigi-Maria Grignion de Montfort
Prima della Comunione
1. ti umilierai profondamente davanti a Dio.
2. rinuncerai al tuo fondo corrotto e alle tue disposizioni, per quanto buone te le faccia apparire il tuo amor proprio.
3. rinnoverai la consacrazione, dicendo "io sono tutto tuo, mia cara Sovrana, con tutto ciò che mi appartiene".
4. pregherai questa buona Madre di prestarti il suo cuore, per accogliervi il Figlio suo con le sue stesse disposizioni. Le dirai che ne va della gloria del Figlio suo, se verrà accolto in un cuore come il tuo, così macchiato e incostante, capace di sminuire la sua gloria o di allontanarsi da lui; ma che se ella vuol venire ad abitare da te per ricevere il Figlio suo, lo potrà fare per il potere che ha sui cuori; e che il Figlio suo sarà, per mezzo di lei, ben accolto, senza macchia e senza pericolo di essere offeso, o respinto: "Dio sta in essa, non potrà vacillare" (Sal 46, 6). Le dirai in confidenza che tutto ciò che le hai dato, dei tuoi beni, è poca cosa per onorarla, ma che, con la santa Comunione, tu vuoi farle il medesimo dono che l'eterno Padre ha fatto a lei, e che questo le renderà più onore che non il donarle tutti i beni della terra; e che infine Gesù, che la ama in modo unico, desidera nuovamente prendere in lei la sua compiacenza e il suo riposo, sebbene sia nella tua anima, più sporca e più povera della stalla in cui Gesù non ha avuto difficoltà a venire perché vi era presente lei. Le chiederai il suo cuore con queste tenere parole: "Ti prendo per mio tutto. Dammi il tuo cuore, o Maria!".

Durante la Comunione
2. pronto a ricevere Gesù Cristo, dopo il Padre nostro, dirai tre volte: "O Signore, non sono degno ..." (Mt 8,8) come se dicessi una prima volta all'eterno Padre che tu non sei degno di ricevere il suo Figlio unico, a causa dei tuoi cattivi pensieri e ingratitudini nei confronti di un così buon Padre, ma che ecco Maria, la sua serva: "Ecco la serva del Signore!" (Lc 1, 38) che fa al posto tuo e ti dà fiducia e speranza singolare verso la sua Maestà: "Tu solo, o Signore, mi fai riposare al scuro". (Sal 4,10)
Dirai al Figlio: "O Signore, non sono degno...". Che non sei degno di riceverlo, a causa delle tue parole inutili e cattive, e della tua infedeltà nel suo servizio; ma che tuttavia lo preghi di avere pietù di te, poiché lo fai entrare nella casa della sua Madre e della tua, e che non lo lascerai andarsene senza che sia venuto ad alloggiare presso di te: "Lo strinsi fortemente e non lo lascerò finché non l'abbia condotto in casa di mia madre, nella stanza della mia genitrice"(Cant 3,4). Lo pregherai di alzarsi e di venire nel luogo del suo riposo e nell'arca della sua santificazione: "Alzati, Signore, verso il luogo del tuo riposo, tu e l'arca della tua potenza" (Sal 131,8). Gli dirai che tu non riponi alcuna fiducia nei tuoi meriti, nella tua forza e nella tua preparazione, come Esaù, ma in quelle di Maria, la tua cara Madre, come il piccolo Giacobbe nelle cure di Rebecca; che, pur essendo tu peccatore e come Esaù, osi avvicinarti alla sua santità, sostenuto e ornato dei meriti e delle virtù della sua santa Madre.
Dirai allo Spirito Santo: "O Signore, non sono degno...". Che non sei degno di ricevere il capolavoro della sua carità, a causa della tiepidezza e della cattiveria delle tue azioni e per le tue resistenze alle sue ispirazioni, ma che tutta la tua fiducia è Maria, la sua fedele Sposa; e dirai con san Bernardo: "questa è la mia più grande fiducia; questa è tutta la ragione della mia speranza". Potrai anche pregarlo di venire ancora in Maria, su indissolubile Sposa: che il suo grembo è puro come non mai, e il suo cuore sempre ardente; e che senza la sua venuta nella tua anima, né Gesù, ne Maria saranno mai formati, né degnamente accolti.

Dopo la santa Comunione
Rimanendo interiormente raccolto e con gli occhi chiusi, dopo la santa Comunione farai entrare Gesù Cristo nel cuore di Maria. Lo consegnerai a sua Madre, che lo riceverà con amore, gli darà un posto d'onore, lo adorerà profondamente, lo amerà in modo perfetto, l'abbraccerà strettamente e gli renderà in spirito e verità molte delicatezze che sono sconosciute a noi nelle nostre fitte tenebre.
Oppure rimarrai profondamente umiliato nel tuo cuore, alla presenza di Gesù dimorante in Maria. O starai come uno schiavo alla porta del palazzo del Re, dove egli sta parlando con la Regina; e mentre essi parlano tra loro, senza aver bisogno di te, te ne andrai spiritualmente per cielo e per terra, invitando tutte le creature a ringraziare, adorare e amare Gesù e Maria al posto tuo "Venite, prostrati adoriamo..." (Sal 94,6).
O ancora, chiederai tu stesso a Gesù, in unone a Maria, l'avvento del suo regno sulla terra per mezzo della sua santa Madre, oppure la divina sapienza, o il divino amore, o il perdono dei tuoi peccati, o qualche altra grazia, ma sempre per mezzo di Maria e in Maria; dirai, togliendo lo sguardo da te stesso: "Signore, non guardare i miei peccati", ma "gli occhi tuoi vedano in me solo i meriti e le virtù di Maria". E ricordando i tuoi peccati, aggiungerai: "Un nemico ha fatto questo..." (Mt 13,28); sono io stesso il mio peggior nemico che mi sta addosso e che ha commesso questi peccati; oppure "Liberami dall'uomo iniquo e fallace" (Sal 42,1) oppure "Tu devi crescere e io invece diminuire" (Gv 3,30): Gesù mio, bisogna che tu cresca nella mia anima e che io diminuisca. O Maria, bisogna che tu cresca presso di me e che io sia meno di quello che sono stato. "Siate fecondi e moltiplicatevi" (Gn1,28): Gesù e Maria, crescete dentro di me e moltiplicatevi al di fuori, negli altri.
  Vi è una quantità di altri pensieri che lo Spirito Santo ti suggerisce e ti ispirerà se davvero sarai raccolto, mortificato e fedele a questa grande e sublime devozione che ti ho ora insegnato. Ma ricordati che più lascerai agire Maria nella tua Comunione, e più Gesù sarà glorificato; più lascerai agire Maria per Gesù e Gesù in Maria, più tu sarai nell'umiltà profonda e li ascolterai con pace e silenzio, senza preoccuparti né di vedere, né di gustare, né di sentire, poiché ovunque il giusto vive di fede, specialmente nella santa Comunione, che è un atto di fede: "Il mio giusto vivrà mediante la fede" (Eb 10,38).